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Le banche non saranno più le stesse. Perché il digitale sta ridisegnando gli assetti del comparto finanziario e, tra non molto, potremmo trovarci di fronte a modelli che nulla o poco hanno a che fare con gli istituti di credito così come li conosciamo oggi. È il messaggio emerso dalle analisi della prima ricerca sul settore condotta dall’Osservatorio Digital Finance della School of Management del Politecnico di Milano. Una ricerca di cui abbiamo discusso insieme a startupper, investitori, aziende ed esperti durante il convegno Digital Rethinking nel Banking e Finance.

Il discorso prende vita a partire dal cambiamento in corso all’interno delle banche, sia italiane che internazionali, alle prese con una fase di evoluzione e trasformazione. A prima vista, i nodi urgenti da sciogliere riguardano la scarsa redditività e la mancanza di crescita rilevante, ma anche la ridefinizione di figure professionali un tempo indispensabili, come quella del broker, e che oggi sembrano essere messe in discussione, è un tema da tenere in dovuta considerazione.

Una volta impostato il quadro di riferimento, sorgono alcuni interrogativi. Ad esempio, come si evolveranno gli istituti di credito nei prossimi anni? In che modo assolveranno alla propria mission istituzionale nei nuovi contesti, senza sacrificare gli obiettivi di creazione di valore per i propri stakeholders? E l’ecosistema, in particolare quello italiano, sarà pronto a cogliere i cambiamenti in arrivo nel settore?

Interrogativi destinati, almeno per ora, a rimanere in sospeso. Anche se, alla luce dell’analisi condotta dall’Osservatorio, emerge un’evidenza: all’interno delle necessità e opportunità di cambiamento, una fonte strategica è rappresentata dall’innovazione digitale. A cui si sono affidate, peraltro, buona parte delle startup finanziarie, che affondano da tempo le mani in un settore sempre più consolidato: il fintech. Per dare qualche numero, le startup fintech nate dal 2011 a oggi sono oltre 750, e hanno raccolto finanziamenti per oltre 26,5 miliardi di dollari. Si tratta di attori che si aprono alla competizione con i colossi bancari tradizionali, ma al tempo stesso offrono opportunità di collaborazione, in particolar modo nei servizi finanziari di base.

Tra i modelli tecnologici applicati alla finanza in maggiore crescita, ci sono le Application Program Interface (API): infrastrutture che consentono alle organizzazioni di diventare sempre più “aperte”. Si tratta in buona sostanza di righe di codice software standardizzate, che permettono di interagire e scambiarsi dati in maniera flessibile ed economica. Anche i Big Data Analytics iniziano a stimolare l’interesse degli istituti finanziati, sebbene solo il 40% li cita nei propri piani strategici. Mentre per quanto riguarda l’Intelligenza Artificiale, capace di rendere più efficienti i processi di asset management, i numero sono ancora poco significativi: solo il 16% degli istituti tradizionali li utilizza.

Grande interesse, da parte del settore finanziario, è stato invece manifestato nei confronti del fenomeno della Blockchain, una tecnologia – nata con i Bitcoin – che potenzialmente ha impatto su tutte le transazioni garantendo benefici su costi, ottimizzazione dei processi e sicurezza. A parlarne sono state sia i grandi istituti finanziari che le startup durante una tavola rotonda dal titolo “L’innovazione nella Blockchain in pillole di startup” moderata da Claudia Pingue, Chief Operating Officer di PoliHub. Sulla base dei dati rilasciati dall’Osservatorio, durante il dibattito è emerso come le banche stiano guardando con attenzione alle dinamiche della Blockchain, ma in modo ancora sperimentale. Ecco perché le startup – che operano già in maniera attiva nel settore, sviluppando progetti a diversi livelli di profondità – possono essere compagni di viaggio ideali per tutti i colossi finanziari intenzionati a scovare nuovi ambiti applicativi della Blockchain.