Perché cercare investitori per la propria startup? Per crescere! Il quinto quinto e ultimo appuntamento WHY NOT in PoliHub si apre sfatando leggende metropolitane consolidate quanto sbagliate. I venture capitalist non sono il male personificato, non ha senso essere gelosi della propria idea perché la paura di essere copiati non permette all’idea di essere condivisa, validata e magari migliorata. Stefano Mainetti, CEO PoliHub, e una Sala Arena piena di studenti e startupper ne hanno discusso con Diana Saraceni (Panakès Partners), esperta Venture Capitalist, e con Stefano Calderano (JUSP) che con la sua startup ha chiuso alcuni importanti round di investimento e oggi è anche un Business Angel. Il focus era capire quali investitori possono fare più comodo alla startup, come presentare in modo efficace il progetto e rendersi appetibili, e a cosa si deve prestare attenzione nel rapporto con un investor.
Ma se partire con un piccolo investimento non è così difficile, e spesso lo si deve a risorse proprie, famiglia o amici, per far entrare capitali importanti che solo un investor può garantire serve una value proposition quantificabile. Tecnologia, proteggibilità dell’idea, mercato, prodotto, metriche e revenues sono gli aspetti di cui bisogna tener conto prima di presentarsi davanti a un venture capitalist. “Ci arrivano in media 2000 business plan all’anno, ai quali dedichiamo circa un minuto e mezzo a testa e ne finanzia lo 0,5%. Per questo deve essere convincente e se non c’è committment del team lo si capisce subito”, spiega Saraceni.” La qualità del team è la prima cosa che valuto. Se gli startupper sono giovani valuto la bravura che hanno avuto nel circondarsi di persone di valore, quindi anche il mentor, il business angel, un professore universitario”. Anche se “negli ultimi due anni il panorama delle startup italiane è totalmente cambiato”, spiega Saraceni, il cane che si morde la coda esiste ancora. Ci sono pochi venture capitalist che investono in Italia, ma anche perché ci sono ancora non troppe startup di qualità.
“Ecco perché, dopo il primo seed , è imperativo andare all’estero il prima possibile e forse noi di Jusp abbiamo sbagliato a rimanere troppo legati all’Italia”, aggiunge Calderano, che nel suo ruolo di business angel conferma quanto detto da Saraceni: “ Io investo nei progetti che mi stimolano e nei quali il team crede completamente, come nel caso della startup Zestrip incubata in PoliHub, che propone un modo alternativo di fare turismo”.