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di Luca Orlando

«È un quadro positivo e incoraggiante, che mette in evidenza due punti di forza del nostro sistema: creatività e imprenditorialità. Anche se ora è arrivato il momento di fare il salto di qualità in termini di dimensioni».

Ferruccio Resta, rettore del Politecnico di Milano, è in un punto di osservazione privilegiato per valutare l’evoluzione dell’innovazione nel Paese. Con l’ateneo milanese punto di incrocio evidente tra mondo dell’impresa e giovani startuppari, crocevia tra pubblico e privato, prima università italiana per capacità di attrazione dei fondi Ue dedicati all’innovazione.

«Se parliamo di startup – spiega Resta – è giusto guardare con favore alla numerosità delle iniziative ma poi ciò che conta in fondo è la loro capacità di crescere e di andare oltre l’entusiasmo iniziale per posizionarsi stabilmente sul mercato. Passo avanti che si può fare solo se alle start up si affiancano fondi adeguati e grandi progetti di aziende strutturate. Ecco perché dobbiamo puntare in Italia ad avere pochi grandi centri di aggregazione in grado di avere una massa critica tale da attrarre anche l’attenzione delle maggiori aziende internazionali».

Localismo, quello italiano, che lo stesso Politecnico punta a superare con un ambizioso piano di sviluppo del proprio incubatore, PoliHub, nato nel 2014 e oggi sede di oltre un centinaio di soggetti tra startup e team progettuali di lavoro. «Un modello interessante – aggiunge Resta – è Station Fin Francia, ex stazione parigina riadattata per incubare un migliaio di aziende. Noi abbiamo un progetto simile, con nuovi spazi iconici in arrivo grazie al recupero dei vecchi gasometri della Bovisa, progetto già ben avviato e che dovrebbe concludersi nel 2024. Altri spazi arriveranno e in cinque anni il target è quello di arrivare a 4-500 aziende: dimensione minima, io credo, per diventare attrattivi anche in ambito internazionale, sia in termini di grandi imprese che di investitori».

La carenza di fondi per l’innovazione è infatti per Resta l’altro grande limite del Paese, in particolare nelle fasi iniziali di vita di una nuova iniziativa, fase di “semina” in cui i rischi per un investitore sono maggiori.

«Qualcosa inizia a muoversi – spiega – ma obiettivamente bisogna fare di più. Insieme alla managerializzazione dei team, che spesso guardano solo all’aspetto scientifico, quella dei capitali di rischio è l’altra grande area su cui occorre lavorare. I numeri dicono che il materiale di base c’è ma questo va accompagnato e sostenuto. Un piccolo esempio è Tech4Planet, l’iniziativa appena varata con Cdp, insieme ai Politecnici di Bari e Torino, che può contare su 55 milioni di fondi».

Moltiplicarsi di iniziative che può far leva su una spinta in più in arrivo dalle aziende già strutturate, che con sempre maggiore frequenza avviano programmi di innovazione “aperta” che vedono il coinvolgimento di soggetti esterni. «I modelli in campo tra le grandi aziende sono molto diversi – aggiunge Resta -, tra programmi di scouting per presentare progetti attraverso call dedicate. A livello internazionale i grandi incubatori ospitano sì le nuove aziende ma trovano spazio soprattutto i grandi programmi di accelerazione, programmi governati e promossi dalle grandi imprese. Se guardiamo poi ai singoli imprenditori vediamo una dinamicità ancora maggiore, c’è interesse per la start up sia in quanto attività legata al core business dell’impresa ma anche come forma di investimento».

Se il 2021 è l’anno record per le startup, il biennio che si apre ora diventa invece cruciale per la messa a terra delle risorse Pnrr legate all’innovazione, con la possibilità di contare su 4,5 miliardi di euro di risorse per la creazione di 12 nuovi ecosistemi dell’innovazione, cinque centri per tecnologie abilitanti, 15 partenariati estesi. «In questi due anni possiamo dire che ci giochiamo l’intera partita, perché sarà difficile trovare in futuro un momento più propizio. Caratterizzato da voglia di fare impresa, domanda di innovazione dal mercato, risorse ingenti per partire. È il salto di qualità che serve al Paese, che del resto ha tutte le carte in regola per poterlo realizzare».

Tratto da Il Sole 24 ORE di venerdì 7 gennaio 2022